

Questo specie di pezzo di ambra é in verità una patata dolce secca spacca-denti che ci ha regalato una famigliola hippie incontrata alla stazione di Tokyo. Ci hanno anche messo in contatto con un ragazzo che ha una “free guest house” sull’isola di Kakeromajima, accanto ad Amami, in mezzo all’oceano. Un posto paradisiaco, tropicale, con spiagge bianche. Volevamo troppo andarci ma le pioggie in arrivo e la scoperta che proprio su quelle isole c’è un raro serpente velenosissimo chiamato Habu ci hanno scoraggiato. Peccato!! Speriamo di poterci andare un’altra volta!!
Abbiamo quindi deciso di restare nel Kyushu, isola e provincia meridionale del Giappone.







Il museo mette un groppo alla gola e una voglia di piangere, con foto di cadaveri di uomini, donne, bambini e animali carbonizzati, sciolti, impressi come foto sui muri, foto di bambini soli, con i fratelli morti in spalla, con ferite orribili…
Ci si chiede come possa essere possibile tutto questo, ma anche come si possa continuare a vivere senza sapere o ricordare.
Su un computer del museo abbiamo ritrovato la foto della nonna di Soucoupe, che non stava a Nagasaki al momento dell’esplosione ma nella vicina Isahaya. Subito dopo l’esplosione, è accorsa in aiuto alle vittime, ignara dei rischi di esposizione. È morta 23 anni fa di tumore alla tiroide, comune nelle persone irraggiate.
Sua figlia, zia di Soucoupe, è una fervente militante antinucleare, e solidale alle lotte nel mondo.
Ci ha spiegato che molte persone della seconda generazione hanno problemi di salute legati all’irradiazione dei genitori a Nagasaki o Hiroshima, e sebbene alcuni ci abbiano provato, è praticamente impossibile dimostrare il legame (se no, il governo dovrebbe farsene carico).
In solidarietà con la Palestina si è fatta portare una Kefiah (la tipica sciarpa palestine) e non perde occasioni per spiegare cosa vuol dire alle persone che ha intorno e in pubblico negli incontri del partito comunista.

Ci ha anche illustrato il metodo di sua invenzione per tagliare a metà una banana, con le sole mani!

In quei giorni, stavamo ospiti da Nikki e K., su una piccola isoletta di fronte Fukuoka, che si chiama Nokonoshima. È incredibile come a soli 10 minuti di traghetto da questa immensa metropoli che è Fukuoka, ci sia un’isoletta così verde, selvaggia e con un’aria da posto abbandonato e lontano.
Stare da Nikki è stato interessantissimo perchè ci ha raccontato le sfide di vivere in Giappone con origini in parte straniere e un modo di vedere le cose diverso dall’abituale.
Per sentirsi forte e legittima nella sua diversità Nikki si dedica, tra le altre cose, a delle usanze tradizionali che la maggior parte dei giapponesi non fa più, come la cerimonia del the, ceramiche cotte a legna, flauto e percussioni tradizionali.




Per stare più vicini alla zia di Soucoupe abbiamo preso un appareamento airbnb (microscopico) a Fukuoka

A due passi dall’appartamentino ci sta una di quelle cose che stupiscono del Giappone.




Sempre a Fukuoka abbiamo incontrato Kaya, punto di riferimento per italiani di passaggio. Ci ha invitato a un delizioso pranzo vegano da lei dove ci ha presentato una coppia di italiani in viaggio in camper dall’italia. Ci hanno raccontato di come abbiano attraversato la Russia e dell’accoglienza incredibile che la gente del posto gli ha riservato e altre storie interessantissime. Si possono seguire online @Vandipety.

Eccoci qui sotto invece con il padre di Kaya, Doriano, personaggio eclettico, che oltre ad aver fondato il centro culturale italiano di Fukuoka si è ritrovato, per le strade del destino, ad essere l’unico riparatore in tutto il Giappone di un particolare tipo di Biwa, strumento tradizionale giapponese, tipo Mandolino. Ora, dopo essere sopravvissuto ad un ictus, 10 persone sono arrivate da tutto il Giappone per imparare da lui e poter mantenere questa conoscenza.

Lasciata Fukuoka alle spalle siamo venuti qui da dove vi scrivo, a una guest house vegana che si chiama Lights Vegan Team vicino Yame, nella terra del the verde, ospiti dai carinissimi Junko e Rickard.




Questa che vedete qua sopra è una struttura che tiene una fiammella in cima. La storia è che un signore, andando a cercare suo zio a Hiroshima dopo la bomba, non lo ha trovato.
Tra le macerie in fiamme si è portato via allora, con una torcia, il fuoco. Lo ha portato a casa dove lo ha custodito e alimentato per 20 anni, prima di lasciarlo alla comunità, che ha costruito la struttura che vedete.