Marocco

Per rompere l’inverno ci siamo chiesti dove andare un paio di settimane. Capo verde, Cuba, Tanzania? Bellissimo ma troppo caro. Perché non andare invece in Marocco, collegato con Ryanair, quasi Europa, ma già un altro mondo?

E così abbiamo preso il volo più economico che abbiamo trovato, che ci portava a Fez, senza sapere molto più. Fino a poco prima della partenza abbiamo chiesto a destra e manca consigli a chi ci ha già viaggiato e tutti ci dicevano assolutamente di affittare una macchina, per vedere posti piccolini e fuori dalle rotte classiche.

Io però non avevo molta voglia di prendermi la responsabilità di un mezzo, di doverlo parcheggiare, di dovere stare attento a non fare incidenti e soprattutto avevo voglia di viaggiare come la gente del posto.

Per fortuna ci siamo imbattuti una guida della Lonely Planet, che a un certo punto parla di diverse escursioni in montagna di diversi giorni e con gli asini e che sembravano molto belle. Tra tutti i posti, le montagne dell’anti-Atlas, il Djebel Sahro, che si trova subito prima del deserto, era indicato come fattibile tutto l’anno anche a febbraio, quando fa freddo da altre parti.

E così ci siam detti, affittiamoci un asino (e guida) invece che la macchina!

Cercando su internet, si trovano un sacco di pacchetti all-inclusive che costano un sacco, fino a 1000 euro per persona per una settimana di escursione, tutto compreso, incluso il trasporto organizzato da Marrakesh ecc.ecc. Noi Invece cercavamo il contatto diretto con una buona guida del posto, in modo da arrivare in modo indipendente sul posto e pagare il meno possibile.

Su internet, c’è un’utilissima pagina delle guide turistiche ufficiali della regione di Tinghir, dove ci sono circa 30 guide e i loro contatti. Ce li siamo divisi a metà e abbiamo scritto a tutti chiedendo un preventivo.

Che casino! Abbiamo iniziato a ricevere preventivi ma anche messaggi un po’ incazzati che dicevano “ho ricevuto la stessa richiesta inoltrata da altri due colleghi, ma a quante persone avete scritto?”.

Alla fine abbiamo optato per un certo Hamou Ait Lou, che è pure segnalato sulla lonely Planet, e che ci ha fatto un prezzo di 60 euro a persona al giorno, incluso i trasporti locali, due muli, lui, la guida, i pasti ed il pernottamento in tenda o case di locali;

E così siamo partiti, con direzione Boumalne Dades, per incontrare Hamou, che nel frattempo ci mandava messaggi ogni giorno.

Arrivati a Fez, subito ci ha colpito la temperatura, che era tale e quale a quella che avevamo appena lasciato a Bruxelles. Freddo e grigio. Un antipatico tassista, consigliatoci da un conoscente, ci ha portato per 20 Euro all’Ostello della Gioventù di Fez (Hostelling International), che si trova nella parte nuova della città. Pure l’ostello ci è sembrato freddo e spoglio. Tutte queste maioliche sono fatte per l’afa, non per la pioggia e il freddo e questa sensazione di freddo e umidità ci accompagnerà per tutto il viaggio (forse fine febbraio non è il periodo top per viaggiare in Marocco!).

Questa bella foto in effetti l’abbiamo fatta al ritorno, quando faceva più caldo..

Fez ci è subito sembrata una città vuota e priva di vita, poche persone in giro, poco movimento. In effetti siamo arrivati proprio di venerdì, giorno di preghiera e chiusura di tutti i negozi. Il giorno dopo, siamo andati all’American Foundouk, una fondazione americana che si occupa di curare gratuitamente asini e muli utilizzati per i lavori e trasporti. Una giovane veterinaria super carina, ci fa entrare ci fa fare un giro di tutti gli animali che hanno, con ognuno i suoi problemi e carattere, una bellissima visita che consigliamo! (gratuita peraltro, e i visitatori sono benvenuti perché a volte lasciano delle donazioni).

Da li ci siamo incamminati verso la famosa Medina di Fez. Medina praticamente vuol dire garbuglio di stradine tipo Trastevere, ma più ramificato e stretto, era il vecchio modo di vivere. Cioè vecchio fina un certo punto dato che a Fez ci sta ancora tantissima gente che vive nella Medina. È un agglomerato umano potentissimo, pare che tutti si conoscono almeno di vista, ma è tutto un casino di gente e stradine tortuose che fanno perdere l’orientamento. In più questa è la parte dove vanno tutti i turisti e ci sono dei tipi che si accollano per far fare delle guide a pagamento. Li bisogna essere determinati e chiari. Noi siamo riusciti a liberarci di uno ma poi siamo finiti come polli in un ristorante per turisti.

Cioè ecco com’è andata: a un certo punto siamo passati davanti a un baretto tanto carino, un tipo ci fa: volete fermarvi a mangiare? Noi ci abbiamo pensato un po’ su e poi ci siam detti: il posto è carino.. perché no? Facciamo come per sederci, ma questo ci dice, no no, non sta qui, sta proprio dietro l’angolo, questo è il bar, la zona ristorante sta proprio qui dietro. Allora iniziamo a seguirlo.. e seguirlo e seguirlo.. e perdiamo un po’ il controllo della situazione. Dopo cinque minuti buoni ecco che il tipo si infila in un anfratto e arriviamo in un ristorante evidentemente turistico, vuoto e freddo, dove ci molla li (sicuramente in cambio di una bella commissione). Li ci mangiamo la tipica Tajine, ma cara e cattiva accompagnata da un pessimo riso (il riso non è il loro forte, abbiamo scoperto). Finito lì, andiamo a dare un’occhiata a un ostello suggerito dalla Lonely Planet: Funky Fez, che è molto scenico, ha una bella terrazza, ma si trova nella Medina e iniziamo a capire che dormire fuori è forse più tranquillo. Infatti la Medina emana una forza umana, potente ma un po’ asfissiante, oltre che bisogna stare non poco attenti alla sicurezza. Il padre di Itzana ci ha raccontato, prima che partissimo, che anni prima a Fez si è trovato in un vicolo cieco con due brutti ceffi ed è stato salvato dall’arrivo provvidenziale di un vecchietto con l’asino.

Una delle cose più belle della Medina è uscirne della parte alta andare a prendere un po’ di aria, vento e vista in lungo dalle colline che la sovrastano e dove ci vanno le coppiette a trovare un po’ di pace e gruppi di ragazzi a fumare.

Altro posto che ci è piaciuto molto e dove finalmente abbiamo trovato cibo buono a prezzo locale è Mac Chicken, sempre nella ville nouvelle. Li abbiamo mangiato tra le migliori Tajine del viaggio e c’era una bella atmosfera.

Un’altra cosa che abbiamo notato durante tutto il viaggio è che, appena si esce dalle zone turistiche, le persone ci hanno sempre o quasi sempre fatto i prezzi giusti, senza gonfiarli alla vista dello straniero. Il che a lungo andare ci ha fatto abbassare la guardia e fatto cadere nella trappola delle streghe di Essaouira, ma di questo vi parlerà Itzana più avanti.

Bene, due giorni dopo e partiamo alla volta di Er-Rachidia, una specie di oasi nel deserto, che un tempo ospitava la Legione straniera francese e adesso è un grande centro di provincia e zona di produzione di datteri. Decidiamo di partire con un bus di giorno, al contrario di quello che tutti i locali ci consigliavano: Il bus Supratours che viaggia di notte. Il viaggio è lungo ma i paesaggi sono belli. L’unico neo: una carovana di circa 2000 idioti giovani europei a bordo di vecchie macchine (stile maggiolina) che vengono in questo rally sentendosi grandi esploratori, sventolando bandiere francesi, distribuendo penne e quaderni nella loro “missione umanitaria” e bevendo birre in giro alla faccia della cultura e religione locale. Inoltre i loro carrozzoni, che procedono come lumache tranne che quando non sono a bordo strada, fumanti e con il cofano aperto, hanno costretto il nostro bus di linea, e tutte le altre macchine a fare continui sorpassi pericolosi.

A Er-Rachidia, il nostro ospite di Airbnb ci viene a prendere alla stazione degli autobus e ci porta nella sia casa rurale, nel palmeto. Ci offre una leggera cena, ci presenta le figlie e la moglie e dormiamo in una stanza umida ma con molte coperte. 

Il giorno dopo, dopo una bella passeggiata nel Palmeto, saliamo su un altro autobus in direzione Boumalne Dades, dove ci aspetta la nostra guida. Prima di salire Itzana compra dei carotoni giganteschi e delle mele per gli asini con cui faremo il trekking.

Il paesaggio è bellissimo, si passa in una lunga valle tra le montagne dell’Atlas e l’Anti Atlas, sembra di stare in Tibet, o in Pakistan. Queste sono le zone dove sono stati girati film come Babel.

Arrivati a Boumalne, ci viene incontro la nostra guida, un vecchietto magrino e senza qualche dente, con una orribile giacca a vento trasandata. Ci porta nel suo ufficio.

E li ci spiega che siccome ha nevicato non possiamo più fare il giro come previsto, ma ci propone di farne un altro più corto, di 3 giorni e senza asini, allo stesso prezzo giornaliero. Io ci rimango male, perché aveva nevicato 3 giorni prima e con lui avevamo una comunicazione quotidiana, ci aveva pure mandato le foto della neve, ma ha aspettato che arrivassimo li per dirci che i piani con cambiati. Chiedo a itza di uscire fuori e parlare tra di noi un momento. Son pronto di mandare tutto all’aria e andarcene. Poi alla fine torniamo dentro e trattiamo un prezzo di 50 euro al giorno a persona e decidiamo di farlo.

di notte fa freddo

E cosi che il giorno dopo ci troviamo imbarcati su un taxi collettivo che ci porta attraverso le montagne innevate, sul lato Sud, quello desertico, del Djebel Sahro.

Da li inizia il nostro giro a piedi.

Abbiamo gli zaini carichi di cibo, quindi circa 12 kg ognuno, tranne Ahmou che oltre al suo zaino porta una grande busta della spesa. Lo stile non è il suo forte.

Ora, il giro in montagna è stata probabilmente la cosa più bella che abbiamo fatto, e non mi va di darvi troppi dettagli e spolierarvelo. Vi dico solo che i paesaggi sono spettacolari e che le persone che abbiamo incontrato e le famiglie che ci hanno ospitato sono di un’autenticità unica. Qui i pochi turisti non hanno rovinato il tessuto sociale che è ancora molto forte e con molti valori di ospitalità e rispetto. 

Una buona guida è assolutamente indispensabile, non solo per guidarvi tra le montagne in sentieri che si intuiscono solamente, ma anche per comunicare con la popolazione che parla solo berbero. Le magliette e sottosci tecnici in lana merino ci hanno salvato dal freddo la notte, ma di giorno invece c’era una bella temperatura e ci siamo spesso fermato a chiacchierare con i piedi a mollo nei ruscelli di acqua limpida zampillante che Ahmou non faceva altro che elogiare e fotografare (sembra che è la prima volta da 10 anni che piove tanto, che questi letti di ruscelli si riempono di nuovo, mettendo fine a una siccità di mesi e mesi).

La montagna “rospo”

Ah altra cosa, se siete vegani o mangiate senza glutine, qui bisogna chiudere un occhio, perché si mangia ciò che passa il convento. Dato che il convento, cioè Hamou la guida, la paghiamo noi mi ero convinto che fosse possibile adattarsi alla mia dieta vegana e senza glutine (complicato, lo so). Per questo nei 10 giorni precedenti alla partenza abbiamo avuto interminabili scambi di messaggi dove ogni volta mi chiedeva le stesse cose, cioè se potevo mangiare la carne e le sardine e il pane. Nel corso dei messaggi ho iniziato a cedere, accettando alla fine il pane e la carne ma gli ho detto chiaramente che le sardine no! Sono allergico (non vero) e mi fanno schifo (vero). Bene, indovinate un po’ cosa ci tira fuori Hamou al nostro prima pranzo al sacco? Si, proprio una bella scatolette di sardine. Me le ha proposte ancora due o tre volte prima che le mie occhiate fulminanti abbiano raggiunto il loro effetto.

Hamou, mentre apre la scatoletta di sardine

Penso che è per questa storia delle sardine che Hamou non mi è stato troppo simpatico, ma ammetto che è stato un’ottima guida, che ci ha fatto il prezzo più basso del mercato, ha una grande resistenza, conosce un sacco di gente e ha una forza di una capra di montagna.

Quando alla fine siamo tornati a valle, a casa sua dove ci ha ospitati prima di partire, gli abbiamo lasciato una bella mancia ed era tutto contento. Molto simpatica anche sua moglie, che letteralmente adorava Itzana. In effetti quasi tutte le donne marocchine che abbiamo incontrato l’adoravano.

Bon, detto ciò, le montagne e il gran freddo ci hanno fatto venire voglia di mare. in un giorno di lungo viaggio tra le due catene di montagne siamo arrivati all’oceano, ad Agadir e al piccolo villaggio di pescatori e surfisti di Taghazout.

Taghazout

Dans le guide, on peut lire : « village de surf », déjà la question surgit, hmmm, peut-être ce sera pas tout à fait notre truc ?, mais ensuite on se rassure : la seconde ligne précise « qui a gardé son authenticité et son charme ». Bon allez, on tente, de toute façon, nos corps réclament de la chaleur et nos esprits du mouvement, donc on y va et « au pire, on se casse vite fait ». Mais, même armés de cette phrase magique, la réalité nous rattrape finalement comme une petite claque sur le visage : arriver à Tarazhout après une semaine à la montagne ça fait le même effet que de mordre dans un truc en pensant que ce sera sucré et de tomber sur un machin amer, salé et acide : en bref, c’est le choc.

C’est le choc de se rendre compte qu’à quelques heures de route seulement des mondes complètement parallèles coexistent (eh oui, ça parait évident dit comme ça mais finalement on a peu l’occasion de le vivre vraiment) : on est passés de la beauté du désert, de la grâce d’un regard partagé autour d’un thé chaud et réconfortant, d’une vie dénudé de chichis et où chaque geste semble être à sa place, à CETTE place précise à une ville super touristique qui ressemble à toutes les villes balnéaires du monde et où tout se consomme. Malgré la beauté de l’océan et la chaleur du soleil, on s’est vite sentis décalés et vides. 

Essaouira

Du coup, on a pris nos clics et nos clacs et on est repartis. Direction : Essaouira, petite ville portuaire, très mignonne, bleu et blanc, des mouettes et un bel océan. Le marché aux poissons est impressionnant, une « excursion » riche en sensations : tous ces pêcheurs & leurs butins : odeurs de la mer & de la mort. Et sur le côté, la possibilité de griller directement ces créatures marines moyennant un petit paiement, le tout sous la surveillance stricte et aigüe de mouettes qui montent la garde sur la muraille de la médina. 

le marché du poisson, au port

Pas de doute, c’est une belle médina et on comprend vite qu’elle puisse attirer du monde, il y règne un certain calme et une ambiance « artisane » : beaucoup de galeries, de couleurs, d’objets, d’amlou (pâte d’amande & de miel, très bon) et d’huile d’argan. Sur la route on avait vu des centaines d’arganiers, qui sont de très beaux arbres touffus avec une écorce épaisse. Apparemment ça n’existe quasiment qu’au Maroc et que dans cette région ! Alors, ça s’impose un peu comme une évidence : ce serait bien d’acheter un peu d’huile à ramener comme cadeau. La question qui restait était : mais où ? Comment choisir parmi toutes ces boutiques identiques ? 

Et là, je prends un peu le temps de rentrer dans les détails pour vous faire rentrer dans la scène : c’est nous, Giovanni & Itzana, deux touristes qui marchent tranquillement, se remplissent de sensations, observent le paysage urbain, de toute façon, il n’y a rien d’autre à faire et c’est déjà très bien. Avant qu’on parte, de nombreuses personnes nous avaient dit de faire attention aux arnaques, de toujours marchander, blablabla ; un peu paranoïaques au début, on a essayé d’avoir une idée des prix et on est aussi parti du fait que ça nous semblait ok et normal de payer + que les locaux, étant donné qu’on n’a pas le même pouvoir d’achat. Petit à petit, on s’est rendus compte que pour ce qui est des fruits, légumes,… on nous faisait toujours payer des prix honnêtes et personnellement je me suis persuadée que toute cette histoire d’arnaque touristique était un mythe. Je me sentais donc complètement en confiance, le coeur tellement ouvert qu’on aurait pu y faire entrer tout et n’importe quoi, et nous voilà, sans aucune forme de défense en train d’arpenter Essaouira. Nos regards curieux se posent sur un étal de petites ramilles rassemblées en mini fagots, on se demande ce que c’est… Quelques mètres plus loin, une dame nous rattrape : « ah, j’ai entendu que vous vous demandiez c’était quoi, il s’agit de brosses à dents naturelles, on utilise surtout ça le vendredi, jour sacré ». On la remercie de l’information et elle s’apprête à partir, et soudain je me dis, mais oui, faut que je lui demande, pour l’huile d’argan!! La voila absolument ravie : « je peux vous emmener là où j’achète tous mes cosmétiques ». On la suit à travers des ruelles étroites, à gauche, à droite, par ci par là et on finit par rentrer dans une mini boutique sans devanture : à l’intérieur, des centaines de bocaux remplis de plantes et une dame opulente s’affaire à nous asseoir, nous offrir du thé, du pain, de l’amlou, de l’huile d’argan, des pistaches et je ne sais plus trop quoi, ah oui, du miel aussi je crois, je ne sais plus, tout s’est passé très vite, et quand j’y repense, je sens encore cette petite boule dans le ventre : mais quelle conne j’ai été!!! Rappelez-vous : le coeur ouvert dans un état d’esprit qui imagine que tout n’est que bonté et bienveillance, que le monde est magique et magnifique… « Pharmacie berbère ». Ah Giovanni a une idée ! Vous auriez quelque chose pour sa soeur qui tousse depuis un an ? Et aussi pour qu’elle arrête de fumer ? La dame dit oui d’un air très sérieux, commence à ouvrir les bocaux et en faire un mélange et puis disparait dans l’arrière-boutique pendant que sa collègue nous fait renifler des épices. La pharmacienne revient avec un pot de miel dans lequel elle affirme avoir mis une poudre spéciale ; et un sac rempli de trucs bizarres. Quand on lui demande ce que c’est elle nous répond qu’il y a beaucoup trop de choses pour pouvoir les énumérer. Bon… de toute façon le mélange est fait, ah on n’a pas demandé le prix, on sent que quelque chose ne va pas vraiment, on se regarde, elles nous regardent, je ne sais pas quoi faire, je ne suis pas préparée mentalement, c’est combien ? Elle nous sort un prix exhorbitant et je commence à sortir les billets, je me dis, bon peut-être je n’ai pas tout ça sur moi, d’habitude je me promène avec peu de dirhams mais là avec cette idée d’acheter de l’huile, j’avais pris beaucoup, et voilà, je donne tout ce que j’ai et on sort, un peu étourdis. 

Ni colère ni peine, juste de se sentir trop conne à avoir dépensé 90 euros pour deux pots de miel (qui goutent le sirop), 200 ml d’huile d’argan et un sac contenant… des graines de cressons, des feuilles de mandarines, un peu de réglisse et de l’écorce de grenades… 

Et le rapport au monde n’est plus exactement comme avant car il est soudain empreint de méfiance. 

Rabat

En pleine digestion de cet événement pas grave mais marquant, on est partis pour Rabat qu’on a beaucoup aimé, contre toute attente. Pas de touristes & très belle, on y a fait quelques expériences culinaires et sociales :

Tout d’abord les petites saucisses de Tabib, street food, accompagné d’un délicieux thé vert à la fleur d’oranger.

Ensuite, le restaurant « Taghazout », super économique, simple, le serveur super sympa, on y retournés tous les jours pour y manger de la soupe harira (qui constitue avec la tajine les plats salés principaux du pays).

Et ensuite, on avait vu des tas de gens faire la file devant un petit commerce ; intrigués, on découvre que cette attente quasi religieuse a pour objet un yaourt dans lequel sont ajoutés des fruits frais et quelques céréales (sarrasins, avoines) !! Il s’agit d’une nouveauté dans la capitale marocaine. On s’est dit que les gens avaient envie de manger des choses saines 🙂 

En parlant de choses saines, si vous partez au Maroc, n’oubliez pas de boire du jus de cannes à sucre avec du gingembre et du citron : une tuerie merveilleuse (seulement 5 dirhams = 0,50 cents) ; et d’aller au hammam. On a eu la chance de tomber sur ce site qui raconte beaucoup mieux que tout ce que je pourrais écrire l’expérience du hammam public.

Par contre, je ne vous conseille pas spécialement d’aller au cinéma, bien que le cadre était un vrai saut dans le temps : une façade délavé, un seul film à l’affiche, des chats errants, un guichetier déprimé, des prix qui varient selon « la loge, le balcon, le par terre » ; l’image était complètement floue et le son quasi impossible à entendre ; on a dû sortir après 30 min car il s’agissait + d’une expérimentation surréaliste que le visionnage d’un film. Notre conclusion à ce propos est qu’il s’agit plutôt d’un endroit où les couples peuvent aller se câliner et s’embrasser de manière discrète dans le noir (car à part nous qui avions choisi le « balcon », les quelques autres personnes étaient toutes par deux dans les loges). 

Avant de conclure car je commence à fatiguer, la beauté des cimetières : les tombes sont formées d’un cadre dans quel est mise de la terre et les plantes peuvent pousser à leur guise.

Et en face du cimetière, les vagues que les morts comme les vivants peuvent venir admirer !